«Questa è la storia di una donna fragile, allo stesso tempo decisa e determinata. Una donna che ha speso tutta la vita per un sogno: essere solo e soltanto Elsa. Un fiore d’acciaio».
E di fronte a nulla si è mai piegata Elsa, la protagonista di “In un limbo d’amore”, soltanto la malattia della madre, con la quale ha sempre avuto un rapporto burrascoso, le ha minato le certezze, costringendola a ritornare nella casa d’origine ad accudirla. Ed è proprio tra le pareti di quella casa, dove risiede a settimane alterne, per occuparsi della sua genitrice, che affiorano i ricordi del passato e decide di metterli nero su bianco, per esorcizzare i traumi e riflettere sul rapporto ormai insanabile con sua madre, ridotta dall’Alzheimer a un corpo senza coscienza «Nessuno leggerà queste pagine intime, è solo il mio modo di attraversare di nuovo la mia vita e accettarla, per dimenticare e andare avanti, per essere una donna e una madre migliore».
Era una bambina curiosa e piene di entusiasmo Elsa, competitiva e portata a primeggiare, rattristata solo dall’atteggiamento materno, che non le riservava mai lodi o gratificazioni a differenza delle altre insegnanti, che sin dall’asilo, la prendevano a modello. «La maestra Giulia è uno dei primi ricordi della mia infanzia. Una donnina smilza, bionda, quasi angelica, con una voce delicata e modi fiabeschi. Era la mamma che desideravo. Già a quattro anni sapevo sognare e, soprattutto, sapevo cosa non volevo. Per lei ero una bambina prodigio. Sveglia, un passo avanti a tutti, educata, decisa e volitiva. Ero la sua alunna perfetta, salvo poi prendermi sonore sgridate quando prendevo l’iniziativa e facevo di testa mia.».
Oltre alla maestra Giulia, in quegli anni a elogiarla e a farle davvero da
madre c’era sua nonna Eleonora, sempre solare, le riservava attenzioni e l’accompagnava a scuola, ironizzando di quel suo broncio perpetuo “da nobildonna”. «Nonna Eleonora era la mamma di mamma, ma mai due persone furono così diverse. Era nata in un paesino sul mare, lo stesso mare che portava negli occhi. Purtroppo non è vissuta a lungo, è mancata anni fa, poco prima di papà, ma non prima di piangere di gioia per la laurea della sua amata Elsuccia.».
Altre donne come la professoressa Grimaldi e Angelica Marchi, sua
datrice di lavoro all’Università, le furono di conforto e da modello nella vita, aiutandola a superare le sfide e i momenti cruciali della crescita, mentre con sua madre, non riusciva a parlare di niente. Spiega la stessa autrice, Diamante Faggiano, l’importanza del rapporto materno per una sana maturazione: «Penso che ogni donna, anche se con storie diverse, sia il frutto del rapporto con la propria madre. Mi piaceva l’idea di questo filo conduttore. Tante donne mi hanno ispirato per scrivere questo libro, in primis mia madre».
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