Fuori dal 26 ottobre “Outdoor Recreation”, il primo album di Miller’s Wave. Nove brani di musica Elettronica che coinvolgono l’ascoltatore nel profondo, suggestionandolo e catapultandolo in un mondo rarefatto e alieno ma per qualche ragione familiare. I pezzi sono solo musica allo stato puro, il pubblico è libero di viaggiare nelle sensazioni senza una direzione obbligata dai testi.
Ecco la nostra intervista
Quando ti sei avvicinato alla musica? Molto tardi, intorno ai 15 anni. Fino a quel momento non avevo mai mostrato un grande interesse nemmeno per l’ascolto, ascoltavo i dischi di mio padre (Pink Floyd, Goblin, Procol Harum) più la cassetta della colonna sonora di Blade Runner; non mi interessavano la varietà o la conoscenza di svariati generi, ma consumare quei supporti come facevo
abitualmente con le videocassette di film e documentari, con una morbosa attenzione ai dettagli.
Un mio compagno di liceo mi mostrò i primi accordi al pianoforte (in particolare era una canzone dei Queen, da sempre la mia band preferita) e da quel momento è stato un percorso inarrestabile che ha condizionato (e non sempre positivamente) tutta la mia vita. Dalle tastiere, al pianoforte (con una parentesi di interesse per il Jazz) poi di nuovo ai sintetizzatori, e da lì il passo all’elettronica è stato
breve. Continuo ad occuparmi di altri generi, ma al momento l’elettronica mi permette di esprimermi per come desidero veramente.
Perché fai musica? Ti direi che mi permette di esprimere quello che ho dentro, siano essi ricordi, sentimenti, sensazioni quasi inafferrabili. La verità è che ci sono dentro da quando andavo a liceo e non riesco ad uscirne. Che poi la musica ha talmente tante sfaccettature che è davvero impossibile trovare un solo motivo: nel mio caso è terapeutica, mi permette di comunicare meglio con la parte più profonda e incomprensibile di me stesso; allo stesso tempo è incredibilmente legata alla matematica, quindi mi piace esplorarla come una qualsiasi materia scientifica. La mia musica inoltre nasce in maniera simile alle colonne sonore, descrive qualcosa che esiste, immagini, ricordi, idee, sforzandosi di dargli una forza comunicativa o semplicemente un senso.
Ora passiamo al tuo primo album, Outdoor Recreation. Molto controcorrente. Come è nata l’idea di questo disco? In realtà non credo sia controcorrente. Sicuramente trae ispirazione da diversi mondi abbastanza distanti tra loro, come le colonne sonore, l’ambient, certa elettronica (Trip Hop, IDM?) della fine degli anni ’90. Probabilmente il risultato è inusuale, ma volevo che suonasse comunque familiare o, in un certo senso, quasi nostalgico. Difficilmente programmo di produrre un disco, non è il primo che faccio, anche se è il primo con questo nome d’arte – se qualcuno se lo chiedesse non mi chiamo davvero Miller’s Wave anche se mi piacerebbe moltissimo. Oltretutto ho una vita molto frenetica e ogni volta che programmo di scrivere musica in un determinato periodo potenzialmente ideale, puntualmente non ci riesco. Non voglio “rivelare troppo”, ma ho fatto una serie di sogni piuttosto particolari che riguardavano i miei ricordi di quando ero un bambino e allo stesso tempo una sorta di futuro distopico che veniva costruito man mano attraverso quei ricordi e quelle paure insensate (insensate col senno di poi, ma molto potenti
quando si trovano dentro la mente di un bambino). Questi sogni e queste idee hanno messo in moto una serie di emozioni che non volevo si diluissero nel tempo, avevo bisogno in qualche modo di fermarle. Ho cercato di costruire una narrazione intorno a tutto questo.
C’è un brano a cui sei più legato? Se sì, qual è e perché?
“Flourish in our Homes”. È un pezzo che ho assemblato con in mente dei ricordi precisi, di un periodo ben definito della mia infanzia, in preda ad una sensazione di fortissima nostalgia. I sogni di cui ti parlavo sono stati l’occasione per mettere in atto un processo mentale piuttosto complicato, che oscillava tra il tentativo di recuperare la mia infanzia e il disegno di una realtà possibile in cui il mondo è molto diverso da come lo vediamo oggi.
Qual è il brano che sta piacendo di più al tuo pubblico?
Sto misurando le reazioni del pubblico in base a messaggi privati e commenti su Instagram, che incoraggio vivamente perché amo davvero il confronto. Sembra che Wrecks of Memories e Hello Outside stiano piacendo, ma per motivi diversi; un sacco di gente mi scrive che il primo permette loro di visualizzare delle immagini precise che incredibilmente sono molto simili a quelle che hanno ispirato me. Una ragazza mi ha scritto che questo pezzo è una sorta di fotografia di un ambiente
naturale selvaggio e pericoloso, così ho realizzato un video che si avvicinasse il più possibile a questa immagine mentale. Il secondo invece piace in quanto viaggio, c’è una certa evoluzione musicale, oltre che narrativa, che conduce in territori più ritmici rispetto alla media dell’album.
Cosa vuoi trasmettere ad un potenziale ascoltatore?
Vorrei tanto che l’ascoltatore viaggiasse con la mente, nella sua personale interpretazione dell’album. Vorrei che riuscisse a mettersi in contatto con la parte più profonda e nascosta di sé stesso, ottenendo magari delle risposte, come in parte ne ho ottenute io stesso mentre lo producevo.
Consiglia una tua canzone a chi ancora non ti conosce
L’album è piuttosto breve, consiglierei di ascoltarlo tutto d’un fiato, in cuffia e al buio, prima di dormire. Puó essere stimolante provare a tirar fuori un personalissimo racconto da questa esperienza, che mi piacerebbe fosse quasi mistica. Se proprio devo scegliere un solo brano, direi “Flourish” perché è quello a cui sono più legato.
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Categorie:interviste, Musica
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