È in libreria “Una mamma speciale” di Chiara Allegri, edito da Intrecci Edizioni. Una storia di vita che potrebbe sembrare una tra le tante. Un racconto che è un flusso di coscienza, per narrare le gioie e i dolori di Chiara e della sua famiglia. A 14 anni la ragazza riceve una diagnosi che non le permetterà mai di avere figli. La vita la mette in ginocchio, ma lei non si arrende. Si rialza e guarda avanti con coraggio e determinazione. Molti anni più tardi, insieme al marito Roberto, inizierà un percorso di adozione, lungo e pieno di ostacoli, che le farà incontrare Alexandra, una bimba che completerà la loro famiglia.
“Una mamma speciale” è un libro per tutti, che prenderà per mano il lettore per fargli scoprire come l’amore vince sulla sofferenza e le difficoltà. Basta soltanto crederci e non smettere mai di lottare.
Chiara Allegri è un’infermiera livornese, classe 1979, affetta dalla sindrome di Rokitansky, una malattia rara che non le consente di avere figli. “Una mamma speciale” è il suo romanzo di esordio.

Bentrovata, Chiara. Innanzitutto complimenti per ciò che traspare dalla sua biografia. Qual è stata la molla che l’ha convinta a condividere tutto il suo percorso di vita con i lettori? Grazie! La molla che è scattata è stata quella sia di far conoscere le ragazze Roky facendo capire che cosa devono affrontare per essere donne e mamme, sia per illustrare il percorso adottivo in tutte le sue sfaccettature positive e negative affinché tutti abbiano la convinzione, l’amore e perché no anche il coraggio di intraprendere qst percorso. Ecco, questo mi ha spinto a scriverlo!
Parla molto della sua famiglia, in particolare di sua madre che in qualche modo si è sentita responsabile della sua sindrome. Ci si può davvero sentire in colpa per qualcosa che non possiamo controllare? La mia famiglia è stata ed è il mio tutto, l’albero dal quale derivano le mie radici. Mia madre è stata una donna straordinaria e lo è tutt’ora anche se non presente fisicamente…il titolo del libro riguarda lei in primis e tutte le mamme del mondo! Per quanto riguarda il sentirsi in colpa purtroppo questo è un aspetto che emerge quasi sempre da parte delle madri di ragazze Roky che vivono con particolare sofferenza la condizione della figlia colpevolizzandosi a tal punto di rifiutare loro stesse rapporti sessuali.
Lei è diventata infermiera perché ha cuore il prossimo e le persone che soffrono, quando nel mondo c’è tanto egoismo. Com’è riuscita a non farsi abbattere dalle avversità e confortare gli altri? Diciamo che il senso di altruismo è sempre stato spiccato in me non mi ha mai abbandonata; sin da piccola ho sempre indossato i panni della paladina della giustizia verso tutti coloro che avevano bisogno sia fisicamente, psicologicamente che economicamente. Ho sempre pensato che nella vita tutto accade per una ragione già scritta e soprattutto che tutto può accadere specialmente quando meno te lo aspetti quindi trovare un po’ di conforto in una parola, un abbraccio e anche semplicemente nel silenzio avendo una presenza vicina fa sempre bene all’anima ed al cuore. Se qst poi deriva da coloro che come me ogni giorno indossano una divisa sanitaria allora la responsabilità ed il senso del dovere aumentano!
Sostengo fortemente che la ns professione nn sia adatta a tutti e che dovrebbe essere scelta solo per vocazione e grande senso di altruismo. Spesso quello che facciamo oggi si riduce sempre a giudicare e denigrare la sofferenza e le problematiche altrui senza pensare minimamente che dietro a quella persona ce un vissuto diverso dal nostro.
Affrontiamo il tema adozione, di cui lei ha spiegato le varie sfaccettature. Ci sono famiglie che spesso rinunciano a completare il percorso, difficile come sappiamo. Secondo lei cosa si potrebbe cambiare per renderlo migliore? Sicuramente snellire la burocrazia! Attenzione con questo non voglio dire che non debbano essere fatte le verifiche ai genitori in maniera approfondita a 360• però a volte per un protocollo si aspettano mesi e questo è inammissibile! Prima di tutto per la creatura che è in attesa di una famiglia che lo/la accolga e seconda cosa perché dall’altra parte ci sono due persone che per mille motivi hanno fatto questa scelta vivendo nell’attesa che gli devasta. Molte coppie abbandonano il cammino togliendo una possibilità di vita ad un bambino… non scordiamolo mai! Forse dovremmo riflettere su questo e cercare di migliorare questo aspetto.
La sua Alexandra è una bambina fortunata ad aver trovato una madre che l’ha desiderata profondamente. A volte però i figli adottivi faticano a mettere da parte gli orfani che sono stati. Quali sono i modi per aiutarli a superare il passato e ambientarsi in un nuovo contesto? Io penso che il non dimenticare le loro origini ed il loro vissuto prima di essere adottati non sia solo una cosa normale e comprensibile ma anche doverosa perché questa è la loro storia e nessuno potrà ne cancellarla ne portargliela via. Importante è supportarli nell’affrontare il tema dell’abbandono e fargli capire che la colpa nn è assolutamente sua per ciò che è accaduto. Anche con Alexandra abbiamo affrontato questa criticità cercando aiuto anche in un supporto psicologico che comprendesse tutta la famiglia e anche se oggi è una bambina serena e felice che ha la totale consapevolezza di quello che le è successo non ha completamente abbandonato questa paura. Tutti noi esseri biologici e non abbiamo paura dell’abbandono….
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