Scultore, maestro poliedrico e prolifico, Bruno Melappioni ha cominciato come pittore, eleggendo il corpo muliebre a contenuto prediletto, cercando subito di uscire dai cliché di bellezza tradizionalmente intesa.
Nella sua lunga e appassionata ricerca artistica, ritrarre un corpo significa il punto di arrivo, o è proprio da lì che si parte per esplorare l’ignoto dell’ individuo, iniziando dalle sue ombre?
Secondo Umberto Eco il lavoro di un artista può essere considerato “artistico“ nel momento in cui è legato ad un filo che riconduca all’arte dell’antica Grecia. Questo è stato anche il mio pensiero fin dalla prima pennellata per cui lavorare sul corpo umano per me è stato il naturale punto di partenza.

Quale è la prima parte del corpo che rapisce la sua attenzione, quella dove lo sguardo si posa per restare più a lungo?
Quello che mi colpisce per prima cosa è l’armonia delle forme. Poi sicuramente è la schiena che rappresenta per me una sorta di tela dipinta su cui cerco e a volte trovo una sua perfezione estetica che mi da appunto la sensazione di ammirare un quadro bellissimo
La schiena così mirabilmente da lei ritratta, esprime a tuttotondo l’ignoto. Lei ama approdare in terre sconosciute e vuole con questi tratti sapienti riportare l’individuo a scoprire meglio se stesso valorizzandone l’unicità?
Si è vero. Rappresenta l’ignoto per se stessi. È la parte del corpo che per noi è landa sconosciuta. È una terra di cui si ha una consapevolezza estetica solo di riflesso e per sentito dire. Poi onestamente riportare l’individuo a scoprire meglio se stesso valorizzandone l’unicità è un pensiero che c’è, ma di sottofondo, se per individuo lei intende il soggetto del quadro, perché questo è per me un messaggio
rivolto a tutti gli osservatori.
Assume una grande importanza nella sua ricerca il rapporto esclusivo che si instaura tra l’artista e la modella/o? C’è mai stato nel suo percorso un episodio in cui questa tensione ha sublimato davvero la sua creazione ultima?
Il rapporto tra l’artista e la modella ha sicuramente una componente erotica. Componente che io ho cercato sempre di mantenere nell’ambito del platonismo per far si che restasse sempre ad un livello di “ispirazione” alto. Per esperienza ho capito che nel momento che il rapporto diventava fisico si esauriva. Non sono Picasso.
L’erotismo è il protagonista e filo conduttore della mostra “Retroritratti”. Una magia dove la fantasia inonda lo sguardo e trova la sua massima realizzazione ma anche silenzio come spazio intimo e privato. Cosa esprime per lei l’eros?
L’erotismo credo sia il filo conduttore di qualunque artista. L’arte si fa col ventre. Anche l’arte concettuale che di per se sembra sia di cervello cerca la soddisfazione dell’artista nella pancia. Poi nella mia mostra è sicuramente il soggetto principale. Ho un figlio che si chiama Michelangiolo in omaggio a Caravaggio e quei fondi scuri dei miei quadri nascono dal bisogno caravaggesco di mettere in risalto il soggetto e il suo erotismo di cui le opere del Merisi sono trasudanti
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