Non è semplice parlare di un romanzo quale “I grandi sognatori” opera a firma Rebecca Makkai che richiede, al termine della lettura, del tempo per sedimentare e maturare. Non nascondo di essere giunta qui oggi con molti mesi di ritardo proprio per questo. Perché trattasi di uno scritto che non si esaurisce nel suo scorrere e che ha la forza e il coraggio di toccare una tematica ancora di grande attualità.
Siamo a Chicago, Lincoln park. È il 1985. Yale e Charlie si amano, sono una coppia innamorata e consolidata. È per mezzo di Richard, amico comune, che li incontriamo per la prima volta. Si riuniscono assieme ad altri amici a una festa per ricordare Nico. Anche se le sue esequie si trovano a oltre trenta chilometri di distanza, anche se è qui che si sta svolgendo il suo ultimo saluto. Ma lui così avrebbe voluto, avrebbe voluto essere ricordato con una festa. Non certo avrebbe voluto essere ricordato come da scelta della famiglia che omette, cela e nasconde la realtà e il vero volto di un figlio perduto e consumato da un male a cui non esiste cura ma che si teme anche solo di citare: l’AIDS. La malattia che soprattutto in quegli anni equivaleva a una sentenza di morte confezionata e stilata a puntino ma che consumava e mieteva vittime in particolare nella realtà omosessuale oggetto dell’indifferenza e il negazionismo comune. Fiona, la sorella di Nico, è presente alla festa con cui prende altresì le distanze dalla famiglia. Questa figura è molto importante soprattutto per Yale e per il ruolo che arriverà ad assumere nel suo vivere ed esistere.
Ma questa non è altro che una piccola e modesta premessa per descrivere un romanzo che si sviluppa in un lasso temporale di ben tre decenni. Eh sì, perché “I grandi sognatori” è uno scritto che inizia nel 1985 ma che si sviluppa parallelamente anche trent’anni dopo, nel 2015 e proprio prendendo quale punto di riferimento Fiona, una donna adesso adulta e invecchiata ma che non smette mai di lottare per quella che è la sua battaglia. Lei che è sopravvissuta anche a quegli amici che, come suo fratello, adesso non ci sono più, lei che ha memoria e che custodisce il ricordo di Nico a cui tanto ha voluto bene. Vive un trauma, Fiona, un trauma che nel mondo anglosassone viene chiamato “AIDS crisis” ovvero il trauma generazionale di chi è sopravvissuto alla malattia, che ha incentivato il movimento LGBTQ per il riconoscimento di diritti non sempre universali per qualcuno nella pratica, che ha mietuto vittime su vittime e morti su morti per una malattia sconosciuta ma che non lasciava – e ancora oggi non lascia – scampo. Perché con l’AIDS si convive ma ancora non è debellata.
Molto interessante è il contesto storico in cui è radicata la storia. Corre infatti l’anno 1981 quando il CDC statunitense (Center of Desease Control) pubblica un articolo in cui annuncia di questa nuova infezione polmonare con carattere estremamente aggressivo e riscontrata in cinque giovani gay a Los Angeles. Da qui l’evoluzione, gli altri casi studiati sino all’associazione alla sindrome nel 1982 (Acquired immunodeficiency syndrome). Ed è proprio nel 1982 che si riscontrano ben 853 morti per AIDS, morti di cui l’amministratore Reagan non fa parola, tace. Ciò fino al 1985 quando le morti accertate saranno 5363.
«Qualcuno armeggiò con il giradischi e […] partí la musica: l’intro acustica di America di Simon e Garfunkel, la versione del concerto a Central Park. Il pezzo preferito di Nico, che lui vedeva come un inno ribelle, non come una banale canzone che parlava di un viaggio in auto. La sera in cui Reagan era stato rieletto, Nico l’aveva messa in continuazione al jukebox del Little Jim’s finché al bar non l’avevano cantata in coro ubriachi, dicendo che si sentivano persi e contavano le auto e cercavano l’America. Proprio come la stavano cantando tutti adesso.»
Inizia così un percorso di silenzio, un cammino di omertà, poi di consapevolezza che porta alla riflessione da parte del lettore. La Makkai non dimentica quella che è stata la disperazione di queste persone e al tempo stesso non si esime dal narrare della comunità omosessuale, dei legami umani, l’amicizia maschile, la malattia nel dettaglio, il dolore, il ricordo. Makkai fa inoltre un’altra scelta coraggiosa: mantiene saldo l’alternarsi tra passato e futuro. Questo non rende sempre semplice la narrazione ma ne avvalora il contenuto e rende la struttura del romanzo ancora più solida. Il tutto sino a descriverne i volti, i volti di quegli uomini di allora che si amano nella loro genuinità, che si abbracciano e vivono con un sorriso ma anche ignari del fatto che un destino non felice li attende. Un destino che non è ancora lì ma che sta per arrivare. Ecco allora che c’è ancora un poco di tempo per essere felici prima che abbia inizio il tempo delle lacrime e della perdita.

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