Carta e matita erano vietate nel campo di concentramento fascista di El- Agheila In Libia. I detenuti per raggiungerlo erano costretti a percorrere 400 km a piedi nel calore estenuante del deserto.
C’erano donne bambini anziani ma anche uomini valorosi e tra loro c’era un poeta Rajab Abuhweish che in quella prigione dietro al filo spinato. tra disumanità rovina e violenza compose a memoria un poema di 30 strofe e lo trasmise oralmente agli altri prigionieri rafforzando nello spirito di resistenza come fosse un’arma per sopravvivere.
Si legge in pochi minuti e resta dentro l’anima bruciando tutto come lava questo canto.
Il tormento della distruzione di un uomo e del suo popolo scavano nel profondo.
<<Il mio solo tormento
questo strazio senza fine
ho nostalgia delle mie terre >>
<<e i nostri audaci cavalieri
ora piegano il capo
davanti ai fascisti
come concubine sottomesse >>
<< siamo costretti a sopravvivere nell ignoto
le mani disarmate
ovunque volgiamo lo sguardo
non c è via d’uscita>>
Versi che ci costringono inesorabilmente a una riflessione…. Oggi più che mai.

Categorie:Narrativa
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