Tra i sentimenti più autentici ed intensi che l’essere umano è in grado di
provare ed esprimere, vi è senza dubbio quello della gratitudine, una
disposizione d’animo scaturita dalla riconoscenza che, quando si eleva al
dono più prezioso, la vita, corrobora di serenità e profonda consapevolezza
ogni singolo respiro, tramutando l’incontrollabile scorrere del tempo in un flusso che non travolge ma guida, la routine in occasione, le difficoltà in opportunità di miglioramento.
Sei cantautore indie-rock. Perché questo genere tra tanti altri?
È la naturale evoluzione di quello che ho sempre ascoltato e suonato e offre
una vasta gamma di scelta stilistica e sonora; una tavolozza con tanti colori
che si mischiano bene tra di loro. Ho militato per anni in band
prevalentemente punk rock ma ho sempre cercato di spaziare molto nei miei
ascolti e di immagazzinare quanti più stimoli possibile per non esaurire mai
gli spunti creativi. Ma resto comunque molto legato ad una forma di
songwriting più anni ’90, ossia quel mix di chitarre energiche e melodie
radiofoniche che fanno da cornice a testi talvolta anche cupi e sofferenti, o
comunque che affrontino tematiche delicate come la solitudine, i disturbi
mentali, il dover fare i conti con i momenti meno belli della vita e l’imparare a
rialzarsi dopo le cadute. Insomma mi piace parlare di cose “serie” con
canzoni che possano risultare piacevoli all’ascolto a tante persone diverse.

Come è nata in te la passione per la musica? Quando scrivi una canzone a
cosa ti ispiri?
Mi sono avvicinato alla musica prestissimo (7-8 anni) con il mio gruppetto di
amici delle scuole elementari. Abbiamo tutti fratelli/sorelle più grandi che ci
passavano i dischi che ascoltavano loro in quel periodo (1997/98) e noi li
divoravamo: passavamo i pomeriggi a casa di uno o dell’altro ad ascoltare quegli
album e tutta la musica del periodo su cui riuscivamo a mettere le mani. È così
che già in quarta elementare i nostri idoli erano Nirvana, Pearl Jam,
Soundgarden, Oasis, Green Day, Red Hot Chili Peppers, R.E.M e Smashing
Pumpkins. Era quasi un’esperienza religiosa che ci ha formato più di qualsiasi
altra cosa di lì in avanti, infatti siamo poi tutti diventati musicisti e appassionati
d’arte in generale. Di lì ad imbracciare una chitarra il passo è stato a dir poco
naturale.
Per le mie canzoni mi ispiro tanto al mio vissuto provando a esorcizzare quella
parte di me con la quale è meno facile convivere tutti i giorni. Uso la musica come
terapia sperando di sviscerare dei lati di me stesso che mi possano aiutare a
capire chi sono e dove sto andando.
“Grazie” è il tuo nuovo singolo. Di cosa parla questa canzone? Ci puoi parlare
pure della sua genesi?
L’ho scritta durante il primo lockdown nel periodo successivo allo shock iniziale
della prima ondata. Tra ansie e sconforto generale volevo anche trovare degli
spunti da cui ripartire e cominciavo a sentire un naturale senso di gratitudine
verso la vita e il modo più ovvio per esprimerlo era la musica.
Ci puoi parlare del video di “Grazie”? Dove è stato girato e da chi?
È stata un’idea di Lucrezia Goria, mia carissima amica e fotografa/videomaker e
titolare dell’Avocado Studio di Torino dove abbiamo girato il video. Le avevo
espresso il desiderio di girare un video che avesse al centro un’emozione, cioè
quel senso di gratitudine verso la vita che diventa gioia liberatrice di cui parla la
canzone, e lei ha avuto la brillante intuizione di coinvolgere un gruppo di
ballerini della Nuova Officina della Danza di Torino. Gli abbiamo chiesto di
ballare sulla canzone sentendo quel concetto ed esprimerlo con i loro corpi in
movimento e il risultato è una perfetta rappresentazione in immagini di quello
che volevo trasmettere mentre scrivevo il pezzo. Nella realizzazione ci hanno
anche aiutato Andrea Bianco, socio di Avocado Studio, e Erika Finotti, makeup
artist esperta e stimata nell’ambiente.
Quale è il filo rosso che collega le tue canzoni?
La volontà di mettermi a nudo con chi mi ascolta e raccontare con sincerità quello
che sono, quello che vivo e gli insegnamenti che ne traggo, nella speranza che
chiunque sia dall’altra parte si senta capito, accettato e meno solo.
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