Chris Yan: la bellezza e il meravigliarsi sono sempre dietro l’angolo

Christian Yan e un sound artist ,compositore e field recordist. Bassista e poli-strumentista

Ciao, Chris Yan, benvenuto in Life Factory Magazine. La prima domanda è di rito. Presentati al pubblico di Life Factory, raccontando di te e delle tue esperienze.

Ciao e grazie a voi per l’ospitalità. Per quanto non sia affatto facile, proverò a presentarmi in breve. Il mio nome anagrafico è Christian Mastroianni e nasco musicalmente come bassista, contrabbassista e poli-strumentista.

Dal 2009 decido di iniziare un nuovo percorso artistico sotto il nome di Chris Yan (che non è altro che un gioco di parole e abbreviazioni di quello anagrafico) e che ammicca ad un approccio man mano sempre più legato alla musica elettronica e alla ricerca sonora.

Negli ultimi dieci anni, e più, come Chris Yan ho pubblicato e autoprodotto otto album e sono stato coinvolto in moltissimi progetti e collaborazioni.

Mi interesso e occupo di tutto quello che riguarda il suono – in senso globale del termine – sia come artista sonoro e sia come compositore; spaziando dala raccolta di paesaggi sonori tramite registrazioni su campo, a musica per immagini, narrazioni sonore per radiodrammi ed installazioni site-specific e performance dal vivo; con particolare interesse e dedizione alla musica elettroacustica e ad un personale percorso di ricerca sonora.

Come artista che tipo di musica ti ha influenzato?

Ascolto musica dalla tenera età, è stata davvero tanta e di vario genere la musica che mi ha influenzato.

La grande curiosità, che da sempre mi contraddistingue e mi attanaglia, ha certamente aiutato nel cercare e nel riconoscere la bellezza – e la meraviglia in essa – ad ampio spettro, permettendomi così di apprezzarla e trovarla nelle cose più impensate, musica e suono compreso; di qualsiasi genere, natura o provenienza esse siano.

Certamente, come ben chiaro ad un orecchio più avvezzo, il mio percorso da solista deve molto all’ambient music alla Brian Eno in primis, e alla musique concrète e tutto quello splendido fervore del primo dopoguerra Parigino (e non solo) in seguito.

Ma, per fortuna, ad influenzarmi molto non è stata solo la musica ma, quasi con forza maggiore, anche la poesia e la letteratura, l’arte visiva, il cinema. Ovviamente, come credo per molti, devo tantissimo anche alle mie esperienze vissute, tutte senza esclusioni. Il vissuto è una vera forza motrice e allo stesso tempo affossatrice delle persone con un alto grado di sensibilità e percettive.

Dicci qualcosa in più sul tuo nuovo disco, Blasè. Ha un nome sicuramente particolare e originale.

Blasè, per definizione, sta per distaccato, indifferente, scettico.

Ed è questo il termine con il quale il filosofo Georg Simmel descrive l’individuo moderno nel saggio “Le metropoli e la vita dello spirito”; dal quale il mio album prende spunto come concetto collante tra le tracce del disco.

Le prime otto tracce fan parte di mie vecchie improvvisazioni risalenti al periodo tra il 2018 e il 2019, la maggior parte dettate dalla casualità e da un approccio autogenerativo nella composizione; e quindi praticamente non riproducibili una seconda volta alla stessa maniera.

Tracce che, solo nel 2020, ho ripescato dal mio “archivio-memoria sonora” e che rispecchiavano nell’impatto sonoro lo stesso sentimento blasé descritto da Simmel con quello che stavo attraversando all’epoca delle incisioni. Per poi, sotto questo concept, editarle e affinarle alla conformità di un album come prodotto finale.

L’intero album non è altro che un racconto decodificato in suoni, del mio attraversare questo disinteresse al mondo esterno in primis, passando per il distacco e lo scetticismo, fino a cedere mano mano il passo al sentimentalismo per tornare gradualmente ad una sorta di normalità; chiudendosi di fatti con il nono brano (l’unico scritto e composto nel 2021) con un’autodedica a me stesso, una poesia sonora alla magnificenza ch’io sono e mi porto dentro. Cedendo così, con gli occhi di oggi di chi ha sorpassato un declino/affossamento, all’apice del sentimentalismo musicale.

C’è un brano in particolare, del disco in questione, al quale sei più legato? Se sì, quale e perché?

Bè, seppur possa sembrar scontato, l’ultimo brano appena citato “Eppure,ricordo anche dei fiori sul tuo volto”  detta sicuramente la chiusura e la presa di coscienza totale su quel che ho passato.

Una sorta di liberazione totalizzante e rigenerativa…un sospiro di sollievo se vogliamo.

Eppure non è il brano al quale sono più legato di tutto l’album.

Premetto che sono quel genere di artista che odia tutto quello che crea, dopo appena mezza giornata passata dalla creazione di qualsiasi cosa. E va bene così, perché questo atteggiamento, seppur tenda a non facilitare troppo il lavoro, mi ha sempre spinto ad andar oltre cercare di migliorarmi continuamente (atto vitale del mio processo).

Inspiegabilmente per “Blasé” , sta accadendo l’opposto. Ed è magnifico e me ne compiaccio, perché è pur sempre un tratto emotivo del tutto nuovo e mai provato prima. Poi, ovvio, c’è sempre qualche minimo particolare che cambierei o aggiusterei, ma fondamentalmente sono soddisfatto del risultato finale e di come sta andando.

Tornando alla tua domanda, il brano al quale sono più legato in assoluto è “Sehnsucht” , nonché primo singolo uscito.

Ricordo perfettamente il momento esatto nel quale è nato ed è grazie anche al ritrovamento di questo brano dall’archivio che il disco ha avuto la spinta giusta che mi ha portato a fare un album da questo accumulo di dati.

E credo che sia il brano che meglio incarna tutti gli aspetti del mio percorso artistico e di quello che e di come mi piacerebbe che continuasse ad evolversi.

Per salutarci, vuoi inviare un messaggio di speranza al mondo musicale e, in generale, artistico, vessato purtroppo da tempo dalla situazione Covid? Cosa ti aspetti dal futuro?

Oddio, forse non sono la persona più adatta nel lancio di messaggi di speranza, né tantomeno come risolutore ultimo di problematiche legate all’ambiente musicale o alla situazione che ha colpito, in modo trasversalmente differente, un pò tutti.

Senza eccedere o peccare di banalità, è chiaro che spero che tutta la questione si possa risolvere al meglio per tutti: ma allo stesso modo vorrei che, malgrado tutto, questo blocco forzato e “tempo perso” possa esser servito a riconsiderare la musica  – e l’arte tutta – con un occhio più critico e attento.

E, rivolgendomi sopratutto alle istituzioni o chi di dovere, a ri-considerare e ri-conoscere quest’ultima come tra i beni più preziosi che possediamo, non come accompagnamento giullaresco o surplus sciocco e becero di un determinato business.

Quello che più mi aspetto e vorrei dal futuro… che sia dato il giusto peso a determinata cultura e alla mole di lavoro e lavoratori che ci sono dietro a muoverne i meccanismi.

Che la cultura abbia il suo peso e importanza, che venga dato spazio a quello che finora è stato tenuto in disparte o fin troppo poco considerato; che dei soliti quattro nomi e quattro facce, in tutti gli ambiti, ne abbiamo avuto abbastanza.

Ri-partizioniamo a dovere spazi e interessi, sovvenzioni e aiuti anche a piccole e interessanti realtà.

Vorrei solo aggiungere e consigliare, in primis a me stesso che ne ho sempre tanto bisogno:  di non mollare mai un attimo in quello in cui si crede e che amiamo fare.

Che sia in campo artistico, sportivo, in campo letterale/letterario, di studio, etc… non fa differenza.

Che la bellezza e il meravigliarsi son sempre dietro l’angolo.



Categorie:interviste, Musica

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