“Era questo che sognavo quando Popsa mi ha regalato la bellissima macchina
da scrivere. È un peccato che le storie siano alimentate dalla tragedia e dal
tumulto. Ed è ancora più triste che abbiano iniziato a pensare che sia una cosa
normale, in questo vortice che colpisce tutto il mondo”.
La spia di Hitler è un romanzo di Mandy Robotham edito da Newton Compton
Editori. Scrittura semplice, scorre veloce, le descrizioni storiche sono
dettagliate. Il romanzo ha due protagoniste: Luisa e Stella. La prima è una
donna inglese che, dopo la morte della madre, rovistando nella solita soffitta,
trova una foto della nonna con un uomo, dietro la foto vi è scritto “S. e C., San
Marco, giugno 1950” anche se riconosce la nonna la cosa che incuriosisce Luisa
e che il nonno si chiamava Giò, quindi C. chi è? La seconda protagonista, Stella,
è proprio la nonna di Luisa che, negli anni della guerra, in una Venezia invasa
dai nazisti, diventa spia per aiutare la sua Italia. Ma Stella è anche una
giornalista e scrive per un giornale clandestino. La sua macchina da scrivere,
un’Olivetti, diventa compagna di tante storie ma, ha un piccolo difetto: una “e”
non proprio in linea con il resto delle lettere e questo potrebbe diventare un
problema.
All’inizio questa storia mi ha lasciato un po’ perplessa per un particolare:
perché due italiani, di cui Stella che farebbe di tutto per la sua Italia, parlando
di letteratura, citino più volte Orgoglio e Pregiudizio che è uno dei libri più
amati e sfruttati da Jene Austen? Non sarebbe stato più logico citare un libro
italiano? E qui mi si è aperto un dubbio amletico: io, se fossi stata Mandy
Robotham, da italiana, quale libro scritto da una donna avrei citato? Uno dei
tanti di Matilde Serao che ha ottenuto molto successo in vita e adesso sembra
quasi essere dimenticata? Sibilla Aleramo? O ancora Grazia Deledda? Oppure
avrei scelto un libro scritto da un uomo? Letta l’ultima pagina del libro ho
capito perché la scelta della scrittrice sia andata proprio a uno dei romanzi più
amati. Orgoglio e Pregiudizio, Elizabeth e Darcy, sono proprio l’icona di coloro
che si incontrano e si scontrano, credono di essere molto lontani l’uno
dall’altra, l’orgoglio di lui e i pregiudizi di lei allontanano ancora di più questi
due personaggi ma basterà utilizzare la giusta comunicazione per capirsi e
venirsi incontro (e forse innamorarsi).
Altro punto forte a mio parere di questo romanzo è proprio la macchina da
scrivere. L’Olivetti che viene citata non è quella famosa Lettera 22 amata da
tanti scrittori dall’età del boom economico, ma è sempre una portatile ed è un
po’ difettosa, diventa uno strumento importante, fondamentale e anche
traditore. Ma alla fine forse servirà per ricondurre una nipote alla nonna ormai
morta, riportare e scoprire una storia che non si conosceva, dimenticata,
meglio, nascosta in un angolo. Basta avere voglia di cercare.

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