Miss universo: la bellezza dalle mille forme.

Mi è piaciuta subito, dal momento in cui quel sorriso smagliante le ha illuminato il viso, qualche secondo appena prima che la corona di Miss Universo le venisse posta delicatamente sul capo da Catriona Gray, la filippina vincitrice lo scorso anno.

Mi sono chiesta perché questa bellezza cosi atipica, rispetto ai canoni occidentali, mi avesse così colpito.

Non è stato solo il suo manifesto attivismo nei confronti della violenza contro le donne ma quella sua determinazione coraggiosa nel dichiarare apertamente: «Sono cresciuta in un mondo in cui una donna come me, con il mio colore della pelle e il mio tipo di capelli, non è mai stata considerata bella. Penso che sia giunto il momento che questo, oggi, abbia fine. Voglio che i bambini mi guardino, vedano il mio viso e voglio che vedano i loro volti riflessi nel mio».

Mi è piaciuta quando, con voce ferma, ha rivendicato le sue convinzioni femministe dichiarando che farà tutto il possibile per incoraggiare le ragazze ad acquisire una maggiore fiducia in sé stesse: «Penso che la cosa più importante sia avere una posizione di leadership. Questo è mancato nelle ragazze e nelle donne da molto tempo, non perché non lo vogliamo, ma a causa dell’etichetta incollataci dalla società. Penso che siamo gli esseri più potenti del mondo e che potremmo avere tutte le opportunità possibili, ecco cosa dovremmo insegnare a queste ragazze: occupare spazio. Niente è così importante come prendere un posto nella società e imporsi».

Solitamente aborro questo genere di manifestazioni che mi ricordano gli show dei cavalli arabi, quelli che, con musino all’insù, sembrano usciti da una scatola di bambole Barbie, dove le donne vengono soppesate e misurate: altezza, seno, giro vita e fianchi. Le miss sono sempre state il prototipo di quella donna perfetta portata da Nicole Kidman  sul grande schermo con «The Stepford Wives», un femminile protagonista delle pubblicità che la nascente TV diffuse, dalla fine degli anni ’50 in poi, in tutte le case degli italiani.

Donne da passerella, possibilmente belle e silenti.

Mi è piaciuta perché mi ha ricordato la grinta da pantera di Grace Jones e quel suo essere sempre fuori dagli schemi. Mi ha riportato, col pensiero, agli anni Ottanta ( che tanto sono ritornati di moda) e a un Jean Louis David che onorava le working girls che riuscivano a unire carriera e charme, mettendo in mostra il loro lato androgino. Un irresistibile stile boyish e la leggendaria Annie Lennox, la cantante degli Eurythmics. Mi ha fatto pensare al taglio estremo dei miei capelli, di ritorno da lungo soggiorno a Parigi, in pieno fermento tra il punk rock e la new wave.

La sudafricana Zozibini Tunzi, la notte dell’8 dicembre, mi ha colpito profondamente perché ha dimostrato al mondo che si può anche essere belle dentro e che, da neoeletta Miss Universo, è « orgogliosa di difendere la bellezza naturale e incoraggiare le donne ad amarsi così come sono».

Questa vittoria è un piccolo passo avanti verso l’inclusività verso l’accettazione che la bellezza possa avere mille forme e mille colori.

Articolo a cura di Maria Gabriella Incisa di Camerana



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